La crisi: che atteggiamento assumo?

Pochi giorni fa mi sono ritrovata a leggere sul “Salotto del caffè”, un post di un ragazzo (un Choosy come direbbe il nostro ministro Fornero), mille titoli e senza un lavoro, che chiedeva consigli su come avviare una torrefazione di caffè. Le sue parole mi sono risuonate in maniera così forte, tanto da chiedere al mio amico Luca Carbonelli di poter usare il suo salotto per spendere qualche parola in più sulla questione.

E’ vero, siamo in crisi, su questo non c’è dubbio: le fabbriche chiudono, gli operai vengono licenziati e, in casi estremi, si arriva a leggere anche di suicidi dovuti a questa tragica condizione. E’ vero, è tutto vero, così come lo è il fatto che la crisi porta con sé incertezza e instabilità, condizione esistenziale difficile per l’essere umano che, invece, vuole certezze nella sua vita, binari prestabiliti da percorrere nel modo più sicuro possibile.

La crisi che stiamo vivendo è un fatto storico e contingente, tutti la stiamo vivendo sulla nostra pelle. Magra consolazione? No!, Solo la possibilità di poter condividere il peso con tutti gli altri e sentire che non siamo soli in questo oceano di difficoltà (già Leopardi, pessimista per antonomasia in La Ginestra ci parla della “solidal catena”), la possibilità di condividere insieme esperienze negative ci porta sollievo. Anche solo il fatto di poter raccontare la propria storia, farla diventare un romanzo è di per sé terapeutico, conferisce importanza al nostro racconto, al nostro vissuto e offre possibilità di vedere la storia sotto altri punti di vista.

Siamo abituati ad attribuire alla parola crisi un’accezione negativa (pensiamo solo all’ambito medico) ma se già entriamo nell’ottica della teoria dei sistemi vediamo che la crisi è un momento fondamentale e di crescita, senza il momento di crisi, il sistema (che può essere l’uomo, l’organizzazione, la famiglia, la società, l’azienda) è destinato alla morte, ad implodere su sé stesso, la crisi è quel momento fondamentale e necessario che permette al sistema di raggiungere livelli di complessità maggiori, di crescere. Certo, questo discorso spaventa chi ha un pensiero lineare causa-effetto, basato sul presupposto di giudizi morali, perché mette in gioco una pluralità di scelte e la conseguente assunzione della responsabilità per le scelte effettuate. Ma questo è un passo fondamentale, da compiere.

La parola crisi etimologicamente deriva dal greco (κρίσις) e significa tanto separazione quanto possibilità, scelta, cambiamento. Vivere la crisi come un cambiamento, come una possibilità di crescita altra, diversa da quella che ci eravamo prestabiliti di seguire, è già possibilità, è già cambiamento. In questo modo entra in gioco quello che gli psicologi della Gestalt definiscono pensiero creativo, quel pensiero che tiene conto del contesto e delle nostre reali possibilità, non ci fa immaginare soluzioni idealizzate e perfette che inevitabilmente si trasformano in frustrazioni e delusioni, ma ci dà la possibilità di partire concretamente da noi, da quello che abbiamo, sfruttando creativamente ciò che c’è. Guardando al qui ed ora è possibile incentivare un pensiero produttivo che migliora la qualità di vita, aumenta la nostra self competence, la nostra self efficacy e il nostro livello di autostima.

Il ragazzo che sceglie, nonostante la pluralità di titoli in suo possesso, di aprire una torrefazione di caffè, sulla base di quello che adesso concretamente ha, è l’esempio più concreto di quanto qui espresso.
Usare il pensiero produttivo non significa abbandonare il proprio percorso, non significa accontentarsi di altro. Se abbiamo chiaro qual è il nostro obiettivo, niente ci vieta di arrivare a lui percorrendo strade diverse da quei famosi binari retti e predefiniti; le vie per arrivarci sono (fortunatamente) molteplici, spetta solo a noi togliere le bende, aprire gli occhi, guardarci intorno e produrre.

Maria Bruno

Psicologa Clinica e di comunità, esperta in Psicologia delle organizzazioni e in Psicoterapia della Gestalt Umanistico-esistenziale.

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