Milc & Coffee. Anna Ferrino: Bisognerebbe azzerare tutto e ripartire.

Torino, 1870. Cesare Ferrino inventa una tecnica rivoluzionaria per rendere impermeabili i tessuti per tende e coperture. L’idea ha avuto un successo tale da far raggiungere al marchio Ferrino la fama mondiale. Oggi, l’amministratore delegato dell’omonima azienda è Anna Ferrino, un’imprenditrice che ha deciso di vestire la camicia di forza per sostenere Mad in Italy, un progetto nato con lo scopo di valorizzare le idee imprenditoriali di successo realizzate in Italia da imprenditori italiani.

Anna Ferrino Mad in Italy
Anna Ferrino per Milc & Coffee

A due anni di distanza dalla sua prima intervista vediamo che cosa è cambiato. 

Nella prima intervista ci hai detto che fare l’imprenditrice oggi è come fare “una corsa ad ostacoli”. Cosa è cambiato rispetto ad allora?

Niente. Il sistema Paese è sempre più disastroso, ma non è mai stato performante neanche prima. Per cui, è molto difficile per chi non è nato e non ha convissuto sin dalla nascita con un sistema così rocambolesco come il nostro, averci a che fare. Al contrario, chi è allenato, da sempre fa i conti con tutte queste assurde contraddizioni del nostro Paese. Adesso la situazione è peggiorata un po’, ma era prevedibile che in un Paese che non ha mai avuto né strategia né governo, le cose peggiorassero. È la stessa corsa ad ostacoli: dobbiamo correre, ma un pochino più forte.

Due anni fa hai dichiarato che la Ferrino è un’azienda Mad perché “ha la volontà di seguire progetti assurdi per realizzare dei sogni”. Credi che oggi, per fare impresa, sia sufficiente avere un sogno da realizzare?

Assolutamente no. Oggi non ti è concesso nulla, tutto va pensato e non c’è neanche più tanto spazio per i sogni. Le aziende sono in trincea, oggi molto più di ieri. La disorganizzazione e l’inefficienza del sistema Paese sono sempre uguali, quello che è cambiato è che due anni fa le aziende avevano ancora un po’ di spazio per rincorrere dei sogni, fare dei tentativi; c’era ancora un margine di elasticità per poter fare dei progetti perché il mercato concedeva di più. C’era ancora qualche minimo spazio di penetrazione, di sperimentazione. Oggi no; per portare a casa dei risultati più scadenti di ieri bisogna lavorare dieci volte tanto e quindi impegnare al 100% le proprie risorse e quelle di tutta la squadra, soprattutto perché gli spazi di manovra si sono ulteriormente ristretti. Lo spazio della sperimentazione diventa molto più difficile, a meno che non sia funzionale a delle nicchie di mercato ben studiate. Quello che voglio dire è che non possiamo permetterci di andare per tentativi, ma dobbiamo sperimentare con la certezza di avere uno sbocco commerciale certo.

Se tu facessi parte del Governo Tecnico, quale sarebbe la tua ricetta per aiutare e tutelare gli imprenditori italiani?

Non può esistere una sola ricetta. Bisognerebbe azzerare tutto e ripartire da zero; c’è molto poco da salvare, il Paese è completamente allo sbando. Il Governo Tecnico fa del suo meglio, ma è difficile intervenire sui malati terminali; si può proporre loro una terapia del dolore, ma probabilmente non guariranno. Per guarirli ci vorrebbe un Governo Tecnico serio, con un lasso temporale molto lungo. Credo che in questo momento ci sia tanta carne al fuoco per cercare di ottenere il massimo risultato nel minor tempo possibile. C’è un clima di incertezza, mancano molti decreti attuativi, le aziende non conoscono il loro destino e se devono inquadrare il personale non sanno come fare esattamente. Per esempio, i giovani provano ad andare da un notaio per costituire una società under trenta e il notaio non sa neanche come comportarsi. Non credo che si possa parlare di una sola ricetta, perché i problemi sono molti. Tuttavia, dovendo concentrarmi su un solo aspetto, credo che si debba riportare la gente ad avere qualche soldo in tasca da spendere per potersi godere un po’ di più la vita e quindi far ripartire l’economia. Bisogna attuare una riforma profonda che non si limiti ad una spending review fatta per ripulirsi la coscienza, ma bisogna realizzare un lavoro più sistematico e profondo.

Data la crisi oggi, che consiglio daresti agli imprenditori che si arrendono?

Bisogna sapersi fermare e capire se la cura destinata alla tua impresa può farla guarire; in questo caso è giusto prendere tutte le medicine che il dottore prescrive, con serietà e con il giusto atteggiamento psicologico. Se però ci sono imprenditori che si arrendono è perché hanno valutato bene che non esistono altre vie possibili. Sicuramente oggi fare impresa é più difficile che mai: non ci dimentichiamo che molti imprenditori stanno mettendo in gioco tutto il patrimonio familiare che in anni e anni hanno accumulato. In Italia c’è ancora una forte coscienza sociale dell’imprenditoria, della salvaguardia del posto di lavoro e della famiglia del proprio lavoratore; in questi aspetti l’imprenditore è lasciato completamente solo, allo sbando, senza la minima assistenza e tutela, senza il minimo riconoscimento del ruolo sociale che oggi ricopre in Italia. E allora poi non possiamo stupirci se nel grande calderone ci sono anche dei personaggi che non sopportano un carico così pesante. Nessuno se ne rende conto, nessuno fa qualcosa di concreto per dare una mano a coloro che, ancora oggi, sostengono molta occupazione in Italia.

In virtù di tutto questo, cosa spinge oggi un imprenditore a rimanere in Italia?

Credo che, al di là di tutte le difficoltà, è proprio perché siamo costretti a vivere in questa situazione assurda che probabilmente ci siamo radicati in questo territorio; l’imprenditore tipico è molto legato al suo network familiare o comunque relazionale, per cui non ha l’intenzione di lasciare i suoi capi saldi. L’italiano medio non è un viaggiatore, un esploratore, ancora molti di noi faticano ad avere un’apertura ed una visione internazionale. Questo fa sì che molti imprenditori restino e forse perché molto legati alla tradizione; l’imprenditore italiano fa ancora impresa col cuore, c’è poco pragmatismo, c’è poca lucidità a volte nell’analizzare i numeri, nel fare scelte drastiche e coraggiose. Molte delle imprese italiane hanno ancora una forte caratterizzazione familiare nel management, nell’assetto societario e nel relazionarsi con la forza lavoro, quasi come fossero delle grandi famiglie. Penso che questo faccia sì che ci sia un accanimento difensivo nel rimanere sulle proprie posizioni e nel restare qua, perché se ci fosse più analisi oggettiva, sgombra da sentimentalismi o valori familiari, probabilmente diversi se ne andrebbero. Tuttavia, non è tutto oro quello che luccica. L’Italia ha dei problemi molto seri, ma non siamo i soli. É una crisi a livello mondiale, ci sono mille Paesi che come noi hanno problemi, ognuno i suoi, ognuno con le sue peculiarità. L’Italia non è l’unica pecora nera, siamo in buona compagnia.

Ti senti più Mad oggi rispetto a qualche anno fa?

In tutti i Mad c’è una componente folle e una componente lucida; la mia componente lucida oggi è una componente più spaventata rispetto a due anni fa, più attenta all’analisi. Forse quello che è giusto dire è che nel Mad oggi la parte di lucidità è prevalente. La parte razionale sta dominando sulla parte del sogno, degli obiettivi a volte un po’ futuristi .

 

Mad in Italy

È un’impresa fare impresa in Italia! Qualcuno se n’è andato, sta pensando di andarsene o se ne andrà per mettere in atto il proprio progetto all’estero. Qualcun altro invece è rimasto, sta decidendo di rimanere o rimarrà per realizzare la propria idea d’impresa qui in Italia. Folle? Forse sì.

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