Gli ho detto che erano “attempati” e loro si sono risentiti. “Ci sentiamo più giovani di te”, mi hanno risposto.
E chi lo mette in dubbio? Io che nel fine settimana guardo la premier e vedo giocare squadre in cui l’età media dei calciatori è ventuno anni e mi sento vecchio. Credo che con le stesse persone dai capelli bianchi, se ci fossimo trovati in un bar a parlare di pallone, del sistema calcio italiano, confrontandolo a quello europeo, avremmo sicuramente concordato su tutto. Noi che rivendicavamo la proprietà di Insigne già quando era a fare faville alla corte di Zeman, e che lo volevamo in campo col Napoli a diciott’anni perché “o’guaglion è Napulitan, perché nun o’fann jucà ‘cà?”. Noi che allo stesso tempo però “Ma chi è Spalletti? Un capitano, c’è solo un capitano. Ha 38 anni e beh? Totti è a’Roma”. E mentre scrivo El Sharawy fa il suo quarto goal in quattro partite da quando è a Roma, mentre er pupone entra alla fine e caracolla. Noi che nel nostro bunker abbiamo sempre ragione si, finché non mettiamo il muso fuori dalle nostre mura e guardiamo quell’Europa dove a Liverpool, ad esempio, “Un capitano c’è solo un capitano” in questione, dal nome Steven Gerard, l’anno scorso ha commosso tutti salutando, dopo aver dato tutto per quella maglia, congedandosi consapevole di non essere più ai livelli massimi, portando la propria esperienza altrove, dove sono pronti a pagarla più del valore che lui stesso gli avrebbe attribuito in patria. In quell’Europa in cui dare spazio ai giovani non è un’interpretazione ma è cultura.
“I nostri giovani se ne vanno altrove non perché lì sono più bravi,
perché ovunque vanno poi sono i nostri giovani ad essere i migliori in ogni settore,
se ne vanno altrove perché altrove li lasciano lavorare, gli danno spazio.”Sergio Silvestrini
Io, in realtà, avevo iniziato il mio intervento ricordando mio padre che lunedì prossimo avrebbe compiuto ottant’anni; che devo la mia formazione a lui, che fino a pochi mesi prima di lasciarci era ancora in azienda, e non a dirci che lui si sentiva più giovane di noi quando noi gli dicevamo che le cose non si fanno più come le faceva lui, che lui era attempato. No, lui scendeva ancora in azienda per spronarci, consigliarci, darci manforte, per credere in noi e imparare da noi cose nuove. Non ci ha mai ostacolato. Non ci ha mai sfidato. Ci ha solo ascoltato e capito. E da quando abbiamo iniziato a fare a modo nostro la nostra azienda è rinata. E lui era contento, soddisfatto, era lui grato a noi, noi che a lui dobbiamo tutto ciò che sappiamo sul caffè, sul fare impresa, su come si vive in una società che non ci regalerà mai nulla. Noi che in ogni nostra azione ci mettiamo tutta la fondamentale esperienza che lui ci ha tramandato.
Io credevo di poter portare una testimonianza positiva di un’azienda familiare rinata grazie al cambiamento, grazie ad una innovazione evidente, e ho invece incontrato una platea consenziente finché si raccontava la storiella, scettica e permalosa nel momento in cui mi son concentrato sul come si è costruita la storia degli ultimi anni di Caffè Carbonelli; una platea che s’è offesa perché argomentando ho fatto notare che in sala vedevo imprenditori un po’ attempati, auspicando un cambio generazionale.
Il paradosso è stato che le cariche più alte di un’associazione, solitamente le più conservatrici, sono state le più predisposte ad accettare le necessità di un cambiamento radicale all’interno della stessa associazione, auspicando di snellire struttura ancor troppo articolata, al fine di accostare nuovi servizi per le imprese a quelli tradizionali, dirigenti pronti a spiegare le nuove opportunità da cogliere grazie all’internazionalizzazione, alla digitalizzazione, facendo presente che la nostra, la CNA è una delle associazioni di imprese più attive su questi fronti, che oggi l’artigianato ha nuove enormi opportunità grazie alla presa di coscienza del valore del made in italy da parte delle istituzioni e di grosse aziende internazionali (Vedi i progetti che portiamo avanti con Google e Amazon, e che si apriranno ad altri grossi partner) che stanno investendo su di esso. Insomma un po’ lo specchio di una società in cui, in questo momento storico i governanti parlano di cambiamenti e innovazioni provando per la prima volta a concretizzarli, e il popolo tentenna ad attuarli, forse disilluso.
Ho sentito parlare, come se ne sentissero la mancanza, di esperienze fatte trent’anni fa, citando philips, olivetti. Ho sentito persone che addirittura lamentavano tutto il male che l’entrata nell’ Eurozona ha fatto all’Italia. Pareri che in una discussione più ampia possono avere un proprio senso, ma che non sono funzionali ai fini di una ricostruzione che punta al futuro benessere delle imprese. La storia di Olivetti e Philips la conosciamo, e chi è stato intelligente ne ha attinto tanti benefici e cercherà di tramandarne la lezione agli eredi, ma oggi, nel contesto di un’assemblea il cui tema del giorno titola “connessi al futuro” volendo ragionare sul ruolo della rappresentanza e su un inevitabile e necessario cambio generazionale, occorre argomentare di progetti e imprese del presente -si, lo so, fossero tutti attuali come Adriano Olivetti all’epoca. Non venite a dirlo a me che lo porto in giro spesso nei miei pitch-.
E allora, mentre ad un certo punto ascoltavo le loro critiche al mio intervento, guardavo le notifiche giunte sul mio Iphone che evidenziavano due nuovi ordini, di cui uno su Amazon, e leggevo l’email arrivata da unioncamere che finalmente dà il via libera all’ingresso del tirocinante nella mia azienda grazie al progetto crescere in digitale di Google e del ministero del lavoro; sorridevo e mi rammaricavo per quello che stavo ascoltando, anzi per quello che avrei voluto ascoltare e che non ho sentito dagli imprenditori che dovrebbero farne richiesta come il pane, ma solo dai dirigenti che hanno cercato di spiegare a chi non sa, che magari c’è un modo per, e ci sono iniziative attive oggi che possono portare nuova linfa alle imprese. E mi chiedevo come fosse possibile che nonostante uno di questi avesse sottolineato come i nuovi associati chiedano all’associazione non più di ricevere i soliti servizi, bensì di trovare un modo per fare mercato, nonostante, accodandomi a questa evidenza, il mio discorso volesse dare una risposta a queste aziende con una speranza e uno stimolo, parlando di digitalizzazione, di ecommerce; nonostante le -a tratti emozionanti- osservazioni, fatte di pancia e di cuore dai dirigenti, mi chiedevo, insomma, come nonostante tutto ciò, l’unica cosa che sembrava aver provocato una reazione veemente nella platea, fosse stata la mia provocazione a beneficio di un cambio generazionale.
Quello che mi porto a casa dal pomeriggio di ieri, è la fortuna di aver scelto di far parte di un’associazione consapevole, che vede nei suoi dirigenti la lungimiranza di capire i limiti e le potenzialità della stessa, e per questo viva. Mi porto a casa la coscienza che stiamo percorrendo la strada giusta. Che, come ha ben detto il mio direttore CNA Napoli Vincenzo Gargiulo, “x debolezze messe insieme non sempre fanno una forza”, e allora anche se si riuscisse nell’obiettivo di unificare le CNA provinciali, occorrerebbe comunque un’innovazione strutturale, altrimenti sarebbe un processo fine a se stesso. Mi porto a casa la consapevolezza dei risultati tangibili, ottenuti da Peppe Oliviero, che con la sua opera di tessere connessioni tra istituzioni e imprese sta riuscendo a tener su e a far crescere questa associazione provinciale-regionale e a darle voce nel panorama nazionale, e a portare la voce della CNA Nazionale in Europa. Mi porto a casa lo sprono a non mollare e le care parole rivoltemi dal segretario nazionale Sergio Silvestrini che esortando tutti a dar spazio ai giovani anche ai tavoli della rappresentanza, ci ha invogliato a perseverare su questa strada. Mi porto a casa la conclusione venuta fuori da un lungo pomeriggio di dibattito che ha visto trecento delegati confluire verso un’unica direzione, e mi porto a casa anche le critiche arrivate, perché sono benedette, in un contesto in cui dare voce a tutti serve per costruire un pensiero comune e consapevole di ogni punto di vista.
Invito, in definitiva, gli imprenditori, i piccoli artigiani a prendere consapevolezza di sé, di ciò che gli occorre, li invito ad una partecipazione attiva ai tavoli di lavoro, in un’epoca in cui, come ha testimoniato in questa assemblea il sindaco di Napoli on. Luigi De Magistris, le istituzioni aprono davvero le porte ai cittadini per un dialogo. E nessuno può negare che rispetto agli anni passati viviamo in un’era in cui le imprese e i cittadini sono chiamate a partecipare ai tavoli decisionali attraverso i rappresentanti delle associazioni di categoria. E allora invito tutti a prendere coscienza del ruolo della rappresentanza e del cambio generazionale, del cambiamento in atto, quanto meno di fare qualcosa per potersi sentire rappresentati, come imprese, e come persone, nelle sedi opportune, dalle figure elette con cui si condividono idee, principi e obiettivi comuni.
Sono certo che nel 2016 le imprese senza le associazioni di categoria e i sindacati possano sopravvivere tranquillamente. Sono altrettanto certo che snellendo queste strutture, rinnovandole dal proprio interno mettendo le imprese al centro di questo processo di rinnovamento, si ridarà a queste imprese una forza maggiore di quella che potranno avere facendo il proprio percorso da sole.