È che boh, ci penso da oggi, ed è come non riuscire a capirlo. T’avrei chiamato in questi giorni per chiederti di raccontarci qualcosa qui al Salotto. Che so’ qualche viaggio, qualche nuova idea o intuizione. Qualcosa che t’aveva colpito. Qualcosa che poi ci avrebbe ispirato un po’ a tutti. E invece… ora a noi qui ci possono sollevare solo un po’ i bei ricordi.
Alberto lo conobbi una delle prime volte in cui presentava Blomming, a Firenze. Io parlavo di Caffè Carbonelli. Alla fine delle presentazioni ci cercammo. Eravamo in sintonia su tutto. Lui affascinato da quello che stavo facendo con la mia piccola azienda, e io stimolato dall’idea di commercio sociale che portava avanti Alberto. Entrammo subito in sintonia. Ci capivamo. È stata una delle persone la cui conoscenza ha contribuito a farmi avvicinare e ad approfondire sempre più le dinamiche del commercio sociale online.
Ci incrociavamo spesso in giro per l’Italia. Lo riconoscevo da lontano: vedevi uno con giacca e zainetto nero in spalla, era Alberto. Una persona colta, preparata, disponibile. Uno di quelli che parlava per esperienza vera di cose fatte, e con una vera capacità di trasmetterle. Alberto era un’appassionato. E aveva l’abilità di farti appassionare. Gli rompevo spesso le scatole per qualche consiglio, qualche parere. Avevamo la stessa idea di social commerce, poi era bello chiacchierare o scriversi con lui perché non finiva mai solo nel lavoro.
Una sera, dopo un po’ che non ci sentivamo, mi scrisse we, domani a Capri apro raccontando la storia di Caffè Carbonelli. Sorrisi. Spesso ci scambiavamo i ruoli. Ma non era mai una cortesia. Lo si faceva perché ognuno credeva nel lavoro altrui, con una stima bella, vera.
Un giorno lo ricattai, lui voleva che rispondessi a delle domande per il blog di blomming. E io lo incastrai portandolo qui al Salotto del Caffè, ne fece venir fuori un racconto-sogno con la sua enorme fantasia riuscì a prendere un caffè con Jack Kerouac. E quando lo lessi che citava Ferlinghetti, la city light bookstore, capii tanto altro di lui. Amava osservare la società, l’innovazione quella vera. In quel post immaginava Kerouac che gli spiegava come la letteratura fosse in realtà un tool per fare un discorso sulla società. E lui che gli rispondeva che in fondo è ancora così, solo che ci sono app invece che libri, e che in fondo anche la tecnologia è un discorso sulla società. Era un visionario. Avrei voluto prendere qualche birra in più con lui.
Una delle ultime volte che ci siamo sentiti, qualche mese fa, lo invitai a uno degli eventi del Salotto del Caffè a parlare di storytelling, lui che ne aveva viste di piccole aziende riemergere grazie al digitale. Ma non era il migliore dei periodi per lui, e lo si percepiva. Anzi in realtà si sfogò proprio. Ecco l’uomo e l’amico, la persona vera. Lo apprezzai tanto. Poi dopo un po’ mi scrisse così, e in queste parole si capisce un po’ chi era Alberto.
“se venissi, più che di storytelling mi piacerebbe parlare del perché gli italiani non fanno startup sul caffè. Se vengo, facciamo una session su come fare un progetto da 30 milioni?come quella finanziata che ci siamo detti su twitter?
cioè bello lo storytelling, eh, però io non vedo l’ora che un amico come te diventi milionario e mi inviti al party. ok è una mezza battuta però per metà è roba vera, perché non si riescono a fare belle catene di bar in italia? franchising o simili? perché il design dei bar in italia fa schifo? perché un caffè costa un euro in quel bar bellissimo che ho instagrammato l’altro giorno, dietro il Duomo di Milano e nel più scrauso dei bar di periferia? perché non c’è più l’italian way of life nei bar italiani? etc etc. cmq queste sono solo provocazioni concettuali. vedo e ti so dire.
un abbraccio.”
L’Italian way of life…
Non abbiamo avuto il tempo di organizzare insieme una discussione su questo. Magari un giorno ci proverò e sorriderò pensandoti, e proverò a farti dare qualche risposta.
Un abbraccio, Albè…