Storia di un b-movie che vinse tre Oscar

Buongiorno e grazie per il caffè, così buono non lo berremo mai più”
Casablanca, M. Curtiz, 1942 

Lui ama lei e lei ama lui. La guerra incombe e devono fuggire, ma è deciso: scapperanno insieme col treno delle cinque.

Poi qualcosa va storto e lei si fa viva soltanto con un biglietto scolorito dalla pioggia, che lui getta via con un gesto di disperazione mentre il treno si muove sui binari. Il resto è storia del Cinema.

Casablanca nasce come un b-movie. Una produzione a basso costo nel pieno della Seconda Guerra Mondiale, uno di quei film che oggi ci capiterebbe di vedere la mattina su una qualche rete locale. Invece è diventato uno dei film più famosi e amati di sempre, nonché il manifesto dell’amor cortese visto dagli occhi della Hollywood degli anni Quaranta.

Merito di Humphrey Bogart, eroe romantico che rinuncia per amore alla donna che ama? O del sorriso di Ingrid Bergman reso ancora più perfetto dai cappelli a larghe tese che indossa?

Se Casablanca fosse rimasto un b-movie ci saremmo forse persi un esempio perfetto di cinema, dove sceneggiatura, dialoghi, regia e costruzione dei personaggi si fondono in una grande e semplice storia d’amore sullo sfondo della tragedia della guerra, dove patriottismo e senso dell’onore onore trionfano su tutto, anche sui legami amorosi.

Che dire, ci sono produzioni milionarie che durano una stagione o poco più e film che con quattro soldi, tanta sapienza e amore diventano dei cult per tutta la vita. Victor Laszlo, Rick Blaine e Ilsa Lund hanno tutti e tre una missione da portare a termine, una causa d’onore alla quale sono votati. Casablanca, in un certo senso, ha esso stesso una missione da compiere: la stessa che accomuna i film di guerra “durante la guerra”: per guardare agli orrori del conflitto da un diverso punto di vista, per ricordarci che tipo di uomini e donne abbiamo scelto di essere.
Casablanca non è nato per essere un film a basso costo. O, se lo è, il risultato finale è pari a quello ottenuto da Leonardo da Vinci quando decise di andare ad affrescare le pareti del refettorio di un convento.

Valentina Spotti

Nasce nel 1984 e vede per la prima volta una pagina web sul finire degli anni Novanta: ci rimane male perché si immaginava chissà cosa. Poi vennero i blog, i social network e YouTube, soprattutto YouTube, dove ha perso innumerevoli ore di sonno e studio saltando di video in video, ma che alla fine le ha regalato una bella idea per una tesi di laurea su reputazione e audiovisivi. Oggi è contributor per Tech Economy e lavora
come web editor per uno dei maggiori portali italiani di informazione
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