Gestire l’emergenza. Una paziente grave: Napoli

Quando ci arriva un paziente in una situazione di emergenza (delirio psicotico, scompenso) la prima cosa che facciamo è agire sull’emergenza stessa: lo inviamo allora allo psichiatra che gli darà il farmaco, che momentaneamente servirà a contenere la crisi.

Ma l’intervento non può essere ridotto alla pillola, successivamente infatti, quando la crisi (la situazione di emergenza) è passata, si comincia un percorso di sostegno, una terapia: la terapia si configura spesso come una rieducazione, una nuova forma di socializzazione.

Non ancora: non è sufficiente intervenire solo sul paziente, è necessario operare sulla rete: significa cioè che dobbiamo interessarci di tutto ciò che è la rete del paziente: la sua famiglia, il suo territorio, la sua asl di appartenenza, i luoghi della sua vita insomma e dobbiamo lavorare per rafforzare tale rete in modo che, qualora si ripresenti la situazione di emergenza, la persona possa contare su un sostegno capillare.

Sembra che la situazione che Napoli sta vivendo negli ultimi giorni, sia proprio una situazione simile a quella descritta, una situazione di emergenza: bene, allora cerchiamo di seguire i punti di intervento.

Innanzitutto dobbiamo dare il farmaco: ho sentito dire che è intento del Ministro degli interni inviare ancora una volta l’esercito a Napoli. Potrebbe essere una buona soluzione, a patto che essa rimanga il farmaco per tamponare l’emergenza.

Superata questa fase, è necessario che tutta la città entri in terapia: faccia cioè un percorso di socializzazione: progetti di recupero territoriale, di sostegno alle famiglie disagiate (perché se molte persone sono attratte dalla malavita è anche perché non hanno spesso di che mangiare) di prevenzione, educazione alla legalità, tutta una serie di progetti che le istituzioni dovrebbero favorire e finanziare perché rappresentano il percorso terapeutico di sostegno e recupero della nostra città.

Infine si deve ampliare e rafforzare la rete : far sentire noi napoletani che non siamo soli, che lo stato è presente e rappresenta un sostegno forte a cui fare riferimento.

E’ chiaro che in questa lunga opera di terapia ognuno deve fare la sua parte: ognuno ha le proprie responsabilità, tutti devono agire e fare quello che è nelle loro possibilità: noi cittadini potremmo cominciare magari non comprando più merce di contrabbando e le Istituzioni pensando concretamente al recupero delle zone di periferia, tralasciando per il momento zone pedonali e piste ciclabili, ci sarà un momento anche per il restauro, per il lifting, ma finchè avremo gente che spara negli asili non credo che i turisti vengano a fare un giro in bici nei nostri quartieri.

E poi ci lamentiamo che siamo penultimi in classifica per qualità di vita!

Maria Bruno

Psicologa Clinica e di comunità, esperta in Psicologia delle organizzazioni e in Psicoterapia della Gestalt Umanistico-esistenziale.

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