Il Convegno che vorrei, innanzitutto non si chiamerebbe convegno (ma sicuramente nemmeno Meeting e per questa ragione forse non lo terrei a Rimini).
Il Convegno che vorrei non ha un tavolo dei relatori, ma delle comode seggioline davanti al pubblico e la prima fila di sedie sarebbe al massimo a due metri. I relatori non si chiamerebbero “esperti”, non inizierebbero ogni intervento con “io” o con “la mia azienda”, non citerebbero “un loro cliente multinazionale in grandissima espansione” senza mai fare un nome, non farebbero citazioni in latino e nemmeno citazioni di autori completamente sconosciuti (sconosciuti soprattutto a loro, ma google aiuta un casino. L’anno scorso andava molto di moda fra i direttori del personale la poesia sul curriculum di Wislawa Szymborska. Fa molto figo se siete molto vecchi e venite invitati a qualche CONVEGNO delle RISORSE UMANE. Ma immagino che ci sia una poetessa russa che abbia scritto qualcosa anche per gli idraulici e qualche narratore bulgaro a proposito dei postini..)
Il Convegno che vorrei, non ospiterebbe il direttore di una costosissima Business School ma il Preside di una scuola di qualche Rione problematico del Sud, che racconti la difficoltà quotidiana di riuscire a trasmettere cultura, senso civico e valori a chi ogni giorno deve combattere per la sopravvivenza e non ha amici influenti a cui raccomandarsi, quattrini per pagare inutili rette costosissime, e porta la carta igienica da casa.
Il Convegno che vorrei non ospiterebbe un politico in pensione. Ascolterei invece il parere di un infermiere che opera nelle zone di guerra con pochi strumenti di fortuna, un imprenditore che crede nelle Persone e le assume per il valore che rappresentano, un artigiano che fa un mestiere che morirà con lui e che sia in grado di trasmetterne il fascino a qualche ragazzo, alla pari dei MasterChef televisivi!
Non chiederei il parere di un’Associazione di Categoria che puntualmente sciorinerebbe dati, cifre, numeri, statistiche dopo aver ringraziato il professore, il sindaco, il ministro, l’assessore per l’invito. Mi annoierei, e come tutti gli altri continuerei a giocare col mio telefonino nell’attesa che si avvicini l’ora del buffet.
Nel convegno che vorrei non ci sarebbero i Professoroni Universitari, quelli poco prestati alla cultura, molto alla politica, tantissimo ai “tavoli di lavoro”. Quelli che parlano di un passato che non c’è più e che nostalgicamente cercano di riproporci teorieteorieteorie. Quelli che “non è vero che i giovani scappano all’estero”, “l’Italia è la Patria della cultura. E poi si mangia pure bene. L’America è un Paese senza storia. E poi si mangia pure male”. Ci sarebbe invece un maestro elementare che insegni a quei padri che ritirano da scuola i propri figli “perchè gli stranieri rallentano l’apprendimento”, il valore di un’aula in cui si mischiano razze, culture, religioni.
Non ci sarebbero neppure i Guru di professione. Quelli che hanno le agende piene perchè a tutti i convegni (e tutti i convegni per questo sono uguali) devono poter dire: “innovazione”, “strategie”, “talenti”,”startup”, “rete d’Impresa”, “fare sistema”.
(Concorsone d’Autunno: in palio un weekend a S. Giovanni Rotondo pentoleincluse a coloro che trovano tutte queste parole nel cartellone di un unico convegno.)
Nel Convegno che vorrei non si applaudirebbe a un manager che sta impoverendo l’azienda che era un orgoglio nazionale. Non si ascolterebbe il parere di un imprenditore che per 40 anni ha ammalato un territorio, generando profitti immensi per la sua famiglia sulla pelle delle Persone. Nè tantomeno si chiamerebbero “best practices” quelle operate da aziende che scambiano favori per continuare a produrre strumenti di distruzione anzichè di costruzione, o dalle lobby per fare business in regime di totale monopolio.
Loro, non ci sarebbero nel CONVEGNO che vorrei.