“Il mediatore tra cervello e mani deve essere il cuore”
F. Lang, Metropolis, 1926
Qui si va sul personale. Perché è un periodo un po’ complicato e a volte ti può dare sollievo tornare a tuffarti in ciò che ami per cercare di capire da dove vieni e dove vuoi andare.
Metropolis è uno dei miei film preferiti, di quelli che li vedi un giorno e capisci di esserti innamorata per sempre. Ho spesso pensato che se il cinema fosse finito dopo Metropolis sarebbe stato lo stesso un grande lusso.
1927, diretto da Fritz Lang e scritto dalla moglie Thea von Harbou. L’ho visto a scuola. Il mio pensiero era corso alle Adidas che avevo ai piedi e a quei “fratelli” da qualche parte, nel mondo, che forse le avevano fabbricate cercando di tenere insieme le due lancette di un grandissimo orologio. E mi sono sentita un po’ Freder.
(Nota a margine: come cambia le cose chiamarsi Fritz Lang o Chiarlie Chaplin.)
Qualche anno dopo ero bloccata in autostrada. Tornavo da una cosa di lavoro. Era il tramonto, il cielo era grigio-azzurro e non ancora nero, e i fanali delle auto davanti a me e nella carreggiata opposta che brillavano mi avevano fatto pensare alla famosa scena del cambio turno.
Soli e chiusi nelle proprie automobili, tutti mi sembravano tristi, costretti alla routine del “È così che vanno le cose, bambina cara”.
È pazzesco come Metropolis sia sempre saltato fuori, in un modo o nell’altro, nei momenti più inaspettati. Inaspettati quanto l’ingresso del Museo del Cinema di Berlino quando ho camminato “dentro” la metropoli. La città era sotto i miei piedi, di fianco a me, potevo toccarla con le mani, sporgermi dalle finestre.
L’altra sera, sentendomi molto come uno degli uomini del cambio turno mi sono messa comoda e ho investito un paio d’ore nel ripasso di questo film. In attesa del mediatore (o della rivoluzione) mi perdo nello spettacolo e ringrazio Fritz Lang e consorte.