“Drugo voleva solo il suo tappeto. Nessuna avidità.
È che dava… un tono all’ambiente”
Il grande Lebowski, J. Coen, 1998.
Torno a casa una sera e tutto quello che trovo è uno sconosciuto intento a fare pipì sul mio tappeto. Cosa avrei fatto io? Chiamato la polizia? Messo il tappeto a lavare dopo aver “congedato” i due scagnozzi? Oppure sarei rimasta lì a guardare il tappeto ancora umido sentendomi come Calimero.
Drugo invece la prende con calma e decide di andare a trovare il suo omonimo, il signor Lebowski, per presentargli quanto meno il conto della lavanderia (salvo poi lasciare la casa del ricco magnate con un tappeto nuovo di zecca sulla spalla).
Niente urla (almeno non ancora!), niente drammi (non in questa scena), Drugo la prende con una buona dose di filosofia e resta, come si suol dire, “in attesa dello sviluppo degli eventi”.
Il personaggio di Drugo (Dude nella versione originale, interpretato da Jeff Bridges), così indolente e stralunato, ha addirittura ispirato una nuova religione, il dudeismo. Che, oltre a contare più di 100.000 “sacerdoti”, in fondo in fondo si basa sulla filosofia e sugli insegnamenti di illustri “guru” come Lao Tzu, Epicuro, Eraclito, Buddha, e Gesù Cristo (loro forse bevevano meno White Russian).
Insomma: viva l’indolenza e abbasso lo stress, alla ricerca di ciò che conta davvero.
Però… Però la vera killer application de Il grande Lebowski si chiama Walter Sobchak: lui è teso, polemico, veterano di un Vietnam che al confronto le guerre puniche sono roba da ragazzini, che risolve ogni questione togliendo la sicura alla pistola.
Una specie di barile di benzina pronto ad esplodere anche davanti a una tazza di caffè.
La domanda è: come avrebbe reagito Walter davanti alla pipì sul tappeto?