La pretesa della giustizia intesa come la cosa giusta. Ora più che mai la si grida. Qui è un incubo. È come vivere quella che sarà la storia futura. Già ci si sente passato. Parlano di noi come di morti certi, se non ora domani.
Pretendere è il verbo giusto, ma non si sa a chi dobbiamo rivolgere le nostre pretese. Noi si grida, si manifesta, ci si indigna, si riceve solidarietà. Ma chi ci deve cosa? Pregare e sperare nell’aria pulita, nell’acqua incontaminata? Un popolo (perchè decine e decine di migliaia di persone sono un popolo), che deve elemosinare alle istituzioni la bonifica di aree inquinate da vent’anni? Scherziamo? E intanto le persone comunque muoiono e continueranno a morire ogni giorno. Il fatto è che prima si pregava per i nostri morti andati via senza ragione, mangiati da queste terribili malattie verso cui alzavi solo le spalle, e chiedevi a Dio il perchè. Quel perchè rassegnato, perchè prima e in qualsiasi parte del mondo tutt’ora si pensa “beh è la vita, la morte è la fase finale pur sempre della vita“, e ci si rassegnava, senza rabbia, con gli occhi bassi e pieni di lacrime. Rassegnati. Ora qui, in questa maledetta terra dei fuochi, non più.
Ci hanno tolto pure la forza della rassegnazione, perchè lì nella rassegnazione c’era la forza dell’accettazione e del nuovo inizio dopo la presa di coscienza di una malattia, dopo il superamento di una morte. A noi ce l’hanno tolta. Il pensiero fisso di noi, dei nostri cari, malati e tramortiti, forse (e questo forse è devastante), da quello che si sta scoprendo: dai roghi tossici, alle acque inquinate, all’aria sporca, ai cibi contaminati. Tutto questo ci strappa anche il sollievo della rassegnazione alla morte. E invece ci inietta, dentro il corpo e la mente, la tensione del pensiero fisso che noi oggi siamo la passiva realtà di quella che in futuro sarà storia tragica.
Nei paesi del terzo mondo si combattono ancora, purtroppo, epidemie, si combatte contro qualcosa. Si muore per malattie che qui da noi si guariscono con un antibiotico. Ma si conosce il nemico. La povertà, l’occidente, l’aids, la febbre, il colera; in oriente contro la Jihâd. Noi ora qui? Contro chi? Contro chi combattiamo? L’aria? L’acqua? Le patate o i pomodori? Quali? Quelle dei supermercati? dei fruttaiuoli? (poveri), delle pizzerie? dei ristoranti? Dei panettieri?
In questo momento abbiamo l’informazione come unica salvezza. Riempiteci almeno di informazione. Abbiamo il coraggio di pretendere almeno l’informazione! E allora “Bevi Napoli e poi muori” vi dà fastidio? Perchè? Si, ci sono altre analisi, altre statistiche che attestano il bene. Ma il male esiste eccome, da studiare, da risolvere, da alleviare, da conoscere. Esiste e dobbiamo essere informati su anche la più piccola percentuale di esso. Perchè abbiamo il diritto di scelta di cosa respirare, bere, mangiare. Il diritto di scegliere come vivere. Di restare o di scappare.
Intanto speriamo. Che si sbagliano innanzitutto. Che tutto questo allarme sia in realtà solamente la superficie venuta a galla di un problema che ora si vede e che prima non c’era. Speriamo che finora non siamo morti per questo. Che quel forse, quello devastante del dubbio, sia poi un “no, saremo morti comunque, era la vita“. Poi passiamo alla speranza più realista. Speriamo che possiamo mettere un punto alle scoperte. Speriamo che comincino a lavorare sulle conoscenze che si hanno. Speriamo che bonifichino le aree colpite, tutte. Speriamo che aiutino i malati a venirne fuori, con l’assistenza dovuta. Speriamo di tornare presto a vivere sereni. Pretendiamolo. E facciamo in modo che la terra dei fuochi non diventi la tragica storia futura.
[Foto: giornalettismo.com – Video: Bloglive.it]