“Vieni subito in ufficio
e mentre arrivi vai a prendere il suo caffè.
Prendi carta e penna e scrivi:
Voglio un caffellatte scremato, senza schiuma
fatto con caffè doppio e tre caffè alla napoletana
con spazio per il latte. Roventi.
Ehi, dico roventi”
Il diavolo veste Prada, D. Frankel, 2006
Non me ne voglia il padrone di casa ma, per cento volte che il caffè è delizia, ce n’è sempre una in cui questa bevanda diventa una croce. Chi di noi non ha solidarizzato per cinque minuti con Anne Hathaway, probabilmente l’unica attrice della storia del cinema ad aver battuto ogni record olimpico correndo per tutta New York (e per mezzo film) con un caffè di Starbucks in mano?
Ad un certo punto della nostra vita, tutti siamo stati stagisti, o qualcosa del genere. La corsa verso il raggiungimento dei nostri sogni passa spesso per un imprecisato numero di tazze di caffè, non sempre metaforiche, portate a qualche scrivania. Pare quasi fare parte del gioco, una clausola contrattuale da prendere o lasciare.
Poi però, anche per Anne Hataway arriva il momento del caffè della vittoria: che non è il primo che ci facciamo servire da qualcuno, ma l’ultimo che portiamo con lo spirito da stagisti. Fuori, agli occhi degli altri, possiamo continuare a essere considerati come tali, ma dentro, da qualche parte, siamo già un po’ più liberi e consapevoli.
E diciamocelo: è una gran soddisfazione, durasse anche solo un pomeriggio.
Per Anne Hathaway è arrivato il momento di quella famosa ultima tazza di caffè. Speriamo che arrivi presto anche per tutti noi. Perché, stagisti o no, ce lo meritiamo.