Ieri, quando sono venuto in ospedale, ho fatto il mio solito gesto scaramantico. Sono andato subito al tuo comodino ed ho preso il libro della Ferrante; il terzo volume della saga sull’amica geniale, quello che avevamo aspettato tutti con ansia, in famiglia, affamati com’eravamo di sapere come sarebbe proseguito quell’intreccio di vite, di amori e di miserie ambientato tra Napoli e la tua adorata Ischia. Ho controllato la pagina con il segnalibro, nella speranza che avessi trovato, nelle ore precedenti, la forza e la voglia di dedicarti alla lettura, a quella che per te è stata non “una” attività, ma l’attività preponderante di tutta la tua vita, uguagliata solo dalla tua passione per il nuoto. Nulla di fatto.
Il segnalibro era ancora lì, fermo alla fatidica pagina 37, quella alla quale eri riuscita ad arrivare la settimana prima, sulle ali dell’entusiasmo per aver finalmente ricevuto quel dono prezioso. E pensare che solo pochi mesi fa quel libro l’avresti letteralmente divorato, magari in una sola, lunga, notte, come solo tu sapevi fare, lasciandomi dietro, a rincorrere le tue emozioni di instancabile lettrice. È stato allora che ho capito che il tuo cammino volgeva al termine, che le forze ti avevano ormai abbandonata del tutto, lasciandoti in preda a quel maledetto topo, all’ultima e forse la più indovinata delle tue metafore; quel qualcosa che ti rodeva da dentro, lasciandosi dietro una misteriosa scia di dolore e distruzione. Ed è stato allora che ho preso il libro, ho avvicinato la sedia al tuo letto ed ho iniziato a leggere, partendo, ovviamente, dalla pagina 37.
Abbiamo trascorso così l’intera mattinata, io che leggevo e tu che combattevi i tuoi fantasmi, lavorando col “vuoto”, cucendo, bevendo, toccando, scavando, talvolta parlando quella lingua strana che ti ha insegnato la morfina. Siamo andati avanti così, finché non hai deciso che era ora di fare un ultimo sforzo, di scacciare i fantasmi per qualche minuto e fare un po’ di posto alla Franca di sempre.
Mi hai allora detto che tu hai dedicato la tua vita a combattere tutte le mafie; e che avresti dedicato la tua morte a combattere la mafia dei cimiteri, quel vergognoso mercimonio di bare e di tombe, di finti luoghi sacri. Mi hai ribadito la tua idea di sempre, quella di essere portata nel tuo personalissimo luogo sacro, quel mare dei Maronti che tu sola conosci in tutti i suoi meandri ed in tutte le stagioni. Ed è lì che ti verrò a cercare tutti gli anni, è lì che porterò le tue amatissime nipoti, a fare il bagno al grido “mare chiama” ed a nuotare lontano, laggiù, fino alla boa rosa, quella che bisognava obbligatoriamente raggiungere e “toccare”, quella vicino alla quale abbiamo fatto alcuni dei nostri più intimi ed importanti discorsi.
È lì che sentirò quella fitta al cuore, quel senso profondo di vuoto, quella certezza di averti persa troppo presto, di aver perso mia madre, ma soprattutto la mia migliore amica. E mi torneranno in mente le parole di quella canzone che mi ha folgorato mentre ascoltavo la radio guidando la vespa, subito dopo aver scoperto che il male che portavi dentro era proprio quello lì, quello infame, quello che ti stronca in pochi mesi, che non ti lascia tregua e che rende tutti, proprio tutti, incapaci di aiutarti se non cercando di alleviare il tuo dolore: “…sto pensando a te, mentre mi spoglio di ogni orgoglio, mentre guardo il mio destino; sto pensando a te, quando ricordo, mentre ancora sento il tuo profumo”.