“Questa è la storia di Howard Beale,
il primo caso conosciuto di un uomo che fu ucciso
perché aveva un basso indice di ascolto”.
Sydney Lumet, Quinto Potere, 1976.
E tra i dibattiti, i confronti, gli sconforti e le dirette televisive di questi ultimi giorni, alzi la mano a chi non è venuto in mente per un secondo Quinto Potere. Con un pizzico di ironia, o magari con un pizzico di esasperazione.
Quinto Potere ha questo titolo praticamente solo in Italia: uno dei rari casi in cui il titolo tradotto è quasi migliore di quello originale. Sidney Lumet l’ha chiamato Network, ma l’omaggio-citazione-a Orson Welles gli dà quell’aria di complicità, quasi volesse proporsi come un sequel adottivo.
Quinto Potere finisce come finisce e il suo è un messaggio amaro, disilluso, angoscioso. E la sfuriata di Howard Beale fa quasi tenerezza se messa in confronto alla reazione della gente che grida dai balconi, dalle finestre delle proprie case, grida grida per poi tornare davanti alla tv.
Eppure chi non ci ha pensato anche solo per una vaga associazione di idee, almeno per un minuto, in questi giorni?