Non sono quello che credi ma te lo farò scoprire con calma. Oltre a tutto il resto, in Coffee and Cigarettes Jim Jarmusch sembra voler suggerire anche questa idea: nessuno è come sembra e le idee che ci facciamo su una persona vengono sempre prontamente disattese, magari dopo una chiacchierata appena un po’ più approfondita davanti a un caffè.
E non è detto che sia sempre un male, anzi. Rimanere piacevolmente stupiti da una persona che credevamo che fosse e che invece è, è divertente tanto quanto vedere Meg White che discute di condensatori e di differenziali.
Senza volerne fare un discorso da guerra dei sessi: ma chi non si è goduto l’espressione accigliata di Jack White dopo che la sua (collega? Sorella? Ex-moglie?) trova il guasto alla bobina di Tesla?
Soltanto cinque minuti prima ci stavamo immaginando tutto un altro retroscena: ovvero lui – finto modesto un po’ capriccioso – che cerca di impressionare lei. A sua volta, lei sta al gioco per pura condiscendenza. Invece, alla fine, si scopre che ne sa quanto, e forse più di lui.
In fondo, non siamo mica obbligati a dire sempre tutto, vero? Nemmeno Alfred Molina era obbligato a sbandierare ai quattro venti la sua profonda amicizia con un importante regista, così come né Tom Waits né RZA devono giustificare la passione per la medicina, al di là delle proprie professioni abituali.
E cosa resta dopo che l’altro si è rivelato a noi per quello che è veramente? Stupore, imbarazzo, a volte anche rabbia. E si rimane lì, seduti a quel tavolino a scacchi bianchi e neri, davanti a una tazza di caffè.
“Sai cosa, mi piacerebbe… vorrei abolire quelle stupida regola del numero di telefono privato. Pensi che sarebbe scortese darti il mio numero adesso?”
“Essì.”
J. Jarmusch, Cugini?- Coffee and Cigarettes, 2003