Un tavolino a scacchi: pensieri sparsi su Coffee and Cigarettes – Parte I

“Dovrebbero congelarlo. Dovrebbero metterlo nella vaschetta del ghiaccio e infilarci dei bastoncini. Per i bambini: così si abituano fin da subito a berlo. Un ghiacciolo di caffeina”
Coffee and Cigarettes – Champagne

Dal 1986 al 2003: a Jim Jarmusch sono serviti diciassette anni per portare a termine Coffee and Cigarettes, elogio a quei piaceri della vita che ti possono sì far diventare un pazzo nevrotico, uno stronzo o uno che normalmente eviteresti, ma che alla fine pensi che siano il (giusto?) prezzo da pagare per non essere banale e magari avere qualcosa da raccontare ai tuoi nipoti. Qualcosa che ne valga la pena.

Però, diciamoci la verità: quanti di noi si siederebbero a un tavolino in compagnia di uno squinternatissimo Bill Murray che beve il caffè direttamente dalla caffettiera e che si accende una sigaretta con un accendino da cucina? O ancora, chi resterebbe impassibile davanti a Roberto Benigni ansioso e felice di andare dal dentista al posto nostro? E chi sarebbe tranquillo nel servire del caffè a una bellissima ragazza che però sfoglia un catalogo di pistole?

Eppure, pur nella varietà della follia, nella diversità delle rapidissime storie che raccontano suoi cortometraggi, Jarmusch sembra voler suggerire l’idea che, dopotutto, per quanto surreali e inarrivabili possano essere gli altri c’è sempre qualcosa che li accomuna tra loro, e noi con loro: quel tavolino a scacchi bianchi e neri, brindare con una tazza di caffè – il tintinnio delle tazze ricorre ormai quasi rassicurante in ognuno degli undici cortometraggi del film – qualcuno che assume caffeina prima di dormire per  poter sognare veloce e chi ha smesso di berlo per potersi godere finalmente la realtà e i sogni con tutta la calma che si merita.

Battute che ritornano come le diverse ore della giornata, personaggi irreali che si rincorrono in un gioco di citazioni fino a diventare familiari. Gesti scontati che, però, diventano quasi un sottile linguaggio in codice.
Diciassette anni per completare un film: Good things come to those who wait.

 

“Conosco uno che si congela il caffè. Ci infila uno stecchino e si ritrova fatto un bel ghiacciolo”
J. Jarmusch, Delirium– Coffee and Cigarettes, 2003

 

Valentina Spotti

Nasce nel 1984 e vede per la prima volta una pagina web sul finire degli anni Novanta: ci rimane male perché si immaginava chissà cosa. Poi vennero i blog, i social network e YouTube, soprattutto YouTube, dove ha perso innumerevoli ore di sonno e studio saltando di video in video, ma che alla fine le ha regalato una bella idea per una tesi di laurea su reputazione e audiovisivi. Oggi è contributor per Tech Economy e lavora
come web editor per uno dei maggiori portali italiani di informazione
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