Qualcuno potrebbe accusarmi di predicare bene e razzolare male.
Allora chiarisco subito la mia posizione. Io vendo un prodotto e ho appena lanciato un blog, che non vuole essere lo standard corporate blog. Qui invito tanti amici che stimo a raccontare e raccontarsi. E non darò loro un euro. Al massimo avrò il piacere di offrire un caffè, che di per sè ha un valore assoluto. E non scriveranno una parola su di esso. Almeno non su richiesta.
La questione #meetFS, e tutto ciò che si sta portando dietro, mi sta un po’ destabilizzando. Confondendo. Divertendo. Irritando. Nauseando.
Poi sono fatto un po’ così: vado a sensazioni. Leggo un post di qualcuno e mi faccio una buona idea dell’autore. Ne leggo altri e… vabbè, mi censuro da solo. Comunque, d’accordo o no con ciò che si legge, secondo me tutti coloro che esprimono la propria opinione mettendoci la faccia, meritano rispetto.
Gli influencer esistono o non esistono?
Ognuno di noi, nella vita o in rete, ha delle persone di riferimento capaci di condizionare volontariamente o involontariamente le nostre scelte.
Il problema è che ci sono sedicenti professionisti del marketing e della comunicazione – e il termine “professionisti” è un eufemismo – che credono, e ne vanno fieri, che la loro professione sia quella del blogger o, peggio, dell’influencer.
Gli influencer di professione, che da qui chiameremo “mercenari”, esistono e rappresentano la più banale forma pubblicitaria utilizzata sull’ultimo media nato: il web.
Lo sanno bene le aziende, che approcciano alla rete in modo innovativo, e lo sanno ancor meglio le agenzie di comunicazione, che li sfruttano per generare i risultati promessi alle aziende un pò più… tradizionaliste, diciamo così.
Azienda = cliente
Agenzia comunicazione-web agency = fornitore
Influencer = uno dei mezzi del fornitore per soddisfare le aspettative del cliente
Metaforicamente –ma neanche tanto– è un po’ come quando cercano di venderti spazi pubblicitari, affiancati dall’immagine di un testimonial che promuoverà il tuo brand e tu stai lì, attratto dal figo o dalla figa, di turno col tuo prodotto tra le mani, senza renderti conto che il ROI sarà un millesimo dell’investimento.
Questo è l’obiettivo degli influencer mercenari: vendere la propria parola, – che sta alla loro rete di contatti come un culo sta ai telespettatori di Veline – senza farsi tanti scrupoli sul valore della parola venduta.
C’è da dire che tra i mercenari ce ne sono alcuni davvero bravi a studiare strategie atte a diffondere il messaggio in modo subliminale, senza dare la percezione della marketta.
Il rapporto cliente-fornitore-influencer terminerà con la massima soddisfazione di tutte le parti in causa, quando il consumatore finale avrà subìto il condizionamento, e praticamente acquistato e testato il prodotto.
Solo a questo punto le tre comparse si renderanno conto che l’attore principale è il consumatore, che oggi sa usare la migliore arma in suo potere: il feedback. Sfruttando a proprio vantaggio lo stesso canale su cui è stato raggiunto dal messaggio pubblicitario: la rete e i social network, ma in quel caso il suo messaggio sarà molto poco subliminale.
Il vero influencer, a quel punto, diventerà il consumatore, che con meno energie e strategie, semplicemente dando libero sfogo alla sua verità sul prodotto, riuscirà quanto meno a mettere in discussione la reputazione del mercenario che l’avrà condizionato e a danneggiare l’immagine del brand in questione.
Basta un tweet o post: le stesse armi dei professionisti della rete che, solo a quel punto, forse capiranno chi è il vero influencer del mercato.
Quello del blogger non è un mestiere. L’influencer non è una professione.
Un bravo blogger riesce ad essere influente in rete in quanto esprime nei suoi racconti la propria visione delle cose. Spesso anche testimonianze di vita vissuta, o semplici consulenze gratuite, utilissime a chi lo segue, diventando così un formatore per il suo lettore.
È sotto quest’ottica che ben vengano i comunicatori di professione, gli esperti del marketing, e le agenzie di comunicazione: quando offrono i propri servizi per formare il personale dell’azienda cliente.
Magari questo punto di vista va troppo in contrasto con la pura vendita di chiacchiere che offrono i mercenari del web.
L’auspicio quindi è che tante altre aziende creino iniziative tipo #meetFS per la trasparenza aziendale, dando spazio alla libera analisi dei propri servizi e disservizi, e che questo precedente serva a far tacere chi, troppo spesso, critica solo per squallido interesse commerciale.