La parola dell’ influencer sta al suo follower come il culo della velina sta al suo telespettatore. Il nuovo media diventa il vecchio media

Gli influencer esistono o non esistono? Ma soprattutto chi sono?

influencer

Ognuno di noi, nella vita o in rete, ha delle persone di riferimento capaci di condizionare volontariamente o involontariamente le nostre scelte. In questo senso subiamo l’influenza di questa persona, spesse volte in modo positivo, altre in modo negativo, ma quasi sempre (dando per certa la buona fede delle sue parole) senza benefici tangibili per la vita di questa persona.


Il problema nasce in rete. La rete, tra le tante cose, è un contenitore di interessi, che possono essere economici, commerciali, sociali, sessuali, ecc.
Ci sono persone, talune volte professionisti del marketing e della comunicazione, altre volte semplici ragazzini dal capello phonato e con un po’ di muscoletti, che credono, perché evidentemente in tanti glielo fanno credere e ne vanno fieri, che le loro attività pubbliche mostrate in rete, li abbiano fatti diventare influenti sulla vita delle persone. Sulle loro decisioni a favore di un prodotto o di un tronista, o sulle scelte di abbigliamento, di gusto, o intime, delle ragazzine. Quando poi dal popolo serioso e professionale della rete è venuto diffondendosi l’appellativo di influencer, queste persone l’hanno fatto proprio credendo di esserlo diventati ma soprattutto cercando di farlo credere a chi gli gira intorno, guadagnandoci soldi, donne, like, retwitt.

Voglio soffermarmi sui professionisti del marketing e della comunicazione. Anche se (e ci rimarranno male a saperlo) i ragazzini phonati e muscolosi tirano più di loro in rete. Fanno più like e più condivisioni, guadagnano più famosità e sono circondati da più ragazzine. E magari domani saranno contattati, perché oggettivamente più belli, da brand per diventare dei testimonial (offrendo la propria immagine speriamo tacendo).

Questo tipo di influencer di professione, quelli del marketing e della comunicazione,  esistono e rappresentano in realtà la più antica, semplice, banale, forma pubblicitaria utilizzata sull’ultimo media nato: il web. In operazioni promozionali, la loro figura è molto più vicina a quella dell’antico strillone usato dai giornali per vendere le loro copie che a quella di un influencer. Certo il loro merito è stato di arrivare col tempo ad essere circondati da un numero enorme di utenti abitanti della rete.

Vi racconto una storia. C’èra un finto pazzo, nel mio quartiere, che ormai da quarant’anni tutti i giorni in un angolo preciso faceva il suo show gridando la qualsiasi, si era inventato un personaggio, uno slang. Ogni giorno il finto pazzo tornava a casa con pranzo e cena, e con un po’ di amici nuovi. Visto che la cosa funzionava e che mangiava e beveva, e si sentiva circondato da un sacco di gente che lo ascoltava, si convinse di esser davvero pazzo.
Un novello regista teatrale, distratto, ignorando la realtà del contesto, prima della tragedia, passando per Secondigliano, un giorno vide il pazzo con tutta la folla intorno e lo ingaggiò per la sua prima opera. Tutto il quartiere venne a conoscenza del fatto, ma alla sera della messa in scena, il teatro si presentò vuoto. Il regista, dimostrandosi professionale, comunque pagò il pazzo per quanto gli spettava. Il pazzo, tornò a casa contento. E dal giorno seguente ricominciò la sua normale attività di finto pazzo o pazzo vero, radunando ancor più gente intorno a sé, forte della non esperienza teatrale.
Un giorno il pazzo fece il normale, gridò “a fuoco a fuoco” non dal solito suo angoletto di strada, ma dal balcone della sua abitazione, nel quartiere c’erano i soliti che ogni giorno lo ascoltavano e lo aiutavano. Quel giorno nessuno lo aiutò, tutti credettero che era uno dei soliti show del pazzo. E il pazzo morì soffocato dal fumo nero del piccolo incendio che nessuno prese sul serio.

Ora, tornando nella logica del marketing e della pubblicità, identifichiamo tre attori: Azienda = cliente
Agenzia comunicazione-web agency = fornitore
Influencer mercenario = uno dei mezzi del fornitore per soddisfare le aspettative del cliente

La dinamica della storiella del pazzo la conoscono bene le aziende le agenzie di comunicazione che sfruttano questi personaggi (influencer mercenari) facendo credere ai clienti che siano influenti. Non gli dicono (ma forse, ahimè lo ignorano anche loro) che fungeranno solo da  strilloni, ossia da diffusori del messaggio promozionale.
Il cliente (azienda) distratto e ignorante del contesto (rete), si ritrova nel ruolo del regista della storiella. Avrà un messaggio diffuso, ma solo in una cerchia ristretta di audience, e zero ritorno sull’investimento.

In realtà questo è l’obiettivo degli influencer per professione, che sono finti pazzi: vendere la propria parola – che sta alla loro rete di contatti come un culo sta ai telespettatori di Veline – senza farsi tanti scrupoli sul valore della parola venduta, perché girerà comunque sempre e solo tra la propria cerchia di contatti, che distrattamente annuiranno ad ogni sua parola a prescindere del suo significato.

C’è da dire che tra i mercenari ce ne sono alcuni davvero bravi a studiare strategie atte a diffondere il messaggio in modo subliminale, senza dare la percezione della marketta.

Il rapporto cliente-fornitore-influencer dovrebbe terminare con la massima soddisfazione di tutte le parti in causa quando il consumatore finale avrà subìto il condizionamento e praticamente acquistato il prodotto strillato. Questa dinamica, cioè quella fondamentale per il cliente, non avviene quasi mai. Quasi mai il consumatore acquista il prodotto gridato quando la strategia è questa. Ma il cliente ignorante sarà al momento dell’analisi raggirato dal fornitore facendogli credere che il costo dell’operazione sia stato pagato dalla gran mole di passaparola generato. Il risultato sarà un teatro vuoto, uno scaffale ancora pieno, un sito internet con zero visitatori convertiti.

Solo a questo punto il cliente si renderà (dovrebbero rendersi) conto che l’attore principale è il consumatore, che sarà la sua influenza a generare profitto per il cliente. Se il consumatore dopo che sarà colpito dal messaggio dell’influencer mercenario acquisterà il bene o il servizio gridatogli in faccia, e parlerà bene del prodotto o del servizio, allora la sua soddisfazione lo porterà a condividere il messaggio gridato dall’influencer mercenario accompagnandolo con un commento di soddisfazione sul prodotto o servizio. Questo genererà curiosità sul prodotto o servizio e non solo sul messaggio gridato. Il ROI calcolato alla fine di tutta l’operazione sarà tangibile in quanto saranno analizzabili numeri di prodotti o servizi venduti oltre che numeri di messaggi gridati rimbalzati.

Credo, per la credibilità del media internet, che bisogni mettere in chiaro che L’influencer non è una professione.

Luca Carbonelli

Imprenditore, esperto di Marketing ed ecommerce, con particolare preparazione nella gestione della piattaforma Amazon. Dal 2004 gestisce l'azienda di famiglia, la Torrefazione Carbonelli s.r.l. di cui è fautore della trasformazione digitale che le ha permesso di imporsi nel mercato online come punto di riferimento del made in italy nel settore food & beverage.
È consulente esterno in gestione aziendale, trasformazione digitale, marketing e comuniaczione; ecommerce, Amazon. Effettua corsi di formazione in management delle pmi, maketing, digital marketing, ecommerce, gestione della piattaforma Amazon. È autore di "Falla esplodere. Come una piccola impresa può affrontare la trasformazione digitale".

Impegnato nel sociale, è stato per 5 anni vice presidente del gruppo giovani della CNA (confederazione nazionale artigianato).

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