Ieri mi è capitato di imbattermi nell’anteprima di un’intervista ad Andrej Godina (PhD in Scienza Tecnologia ed Economia nell’Industria del Caffè. Si, quegli esperti per cui ho molto rispetto, ma che criticavo qui, proprio parlando del bisogno di non lasciare il simbolo ed il racconto della cultura del caffè in pasto alle multinazionali)
Il sig. Godina, consumando un caffè espresso alla rinomata caffetteria Gambrinus, la cui storia e tradizione vanno ben oltre gli attuali o passati fornitori di caffè, ha giudicato del tutto insufficiente il prodotto consumato. Di scarsissima qualità, dandogli un voto di 3,5 scendendo a 2 se zuccherato perchè “lo zucchero esaltava i sentori di muschio, di sottobosco. Oltre i sentori legnosi venuti fuori prima dell’aggiunta di zucchero”.
Ora, premesso che in linea teorica, parlando di piantagioni di caffè, delle differenti caratteristiche organolettiche, è innegabile che l’ Arabica è di qualità nettamente superiore alla Robusta. Non per niente si esalta sempre quella miscela di caffè composta da una selezione di 100% Arabica, che poi il cliente la preferisce o meno, è un discorso che affronteremo tra un pò parlando della pratica. Qui restiamo sulla teoria.
È altresì innegabile che il caffè Arabica è più costoso rispetto a quello Robusta, anche se negli ultimi tempi il mercato ci ha anche portato alle stelle i prezzi di una buona Robusta (si, perchè si può selezionare anche un’ottima Robusta per le miscele di caffè).
Ora, il fastidio non nasce dal giudizio che un professionista assaggiatore di caffè triestino, diventato “dottore del caffè” perchè ha frequentato l’illustrissima Università del Caffè di Illy, possa definire pessima una tazza di caffè bevuta in una caffetteria al centro di Napoli. Il fastidio nasce dalla dichiarazione “bisogna sfatare il mito del caffè di Napoli, perchè la sua qualità è insufficiente”.
Da ieri ho invitato il sig. Godina ad un confronto presso la nostra Torrefazione, al nostro Salotto del Caffè allestito all’interno, per provare a strappargli un sorriso davanti a una buona tazza di caffè, anzi a due buone tazze di caffè, una 85% Arabica (la preferisco alla nostra 100% Arabica) e una molto più Robusta.
Si è aperta poi una piacevole discussione sul suo profilo facebook personale (perchè intanto siamo diventati “amici”), in cui spiegando le mie ragioni chiedevo una piccola rettifica delle sue affermazioni, in quanto a Napoli ci sono torrefattori che puntano alla qualità. Che distinguono un prodotto ottimo da un altro qualitativamente meno buono ma comunque apprezzabile, e che spinto dal mercato può entrare a far parte della propria gamma di prodotti. In questo confronto un pò più articolato, però, non vi è stata alcuna apertura. Ma vabbè, resto fiducioso.
La sorpresa più negativa però è stata trovare online, questa mattina, ed esserne venuto a conoscenza proprio tramite il profilo personale del sig. Godina, un nuovo articolo in cui si rincarava la dose contro il caffè di Napoli, e questa volta neanche usando il termine generico “caffè”, ma proprio puntando il dito contro i “torrefattori” di Napoli, includendo quindi tutta la categoria.
A questa che vorrei chiamare provocazione, ma che purtroppo credo sia semplicemente l’ennesimo cattivo punto di vista a supporto di un professionista che a diffondere questo tipo di concetti ha molti interessi, mi permetto di rispondere identificandomi innanzitutto in un Napoletano, e in tal senso in rappresentanza anche dei torrefattori (imprenditori del caffè) napoletani.
Noi chiedevamo una piccola rettifica sull’errore (perchè di errore si tratta) di generalizzare le dichiarazioni del sig. Godina su “il caffè napoletano”, invece con profondo rammarico ho visto postato sul suo profilo personale questo nuovo articolo in cui addirittura si denigrano tutte le torrefazioni napoletane, specificando volutamente che il titolare del bar o il barista, poco c’entri con la qualità del caffè proposto nel suo locale.
Ora, tornando al discorso che il mercato lo fa il cliente, ahimè.. vorrei chiedere al sig. Godina se ha mai lavorato a Napoli nel settore caffè. Se ha mai provato a proporre un caffè realmente 100% Arabica ad un campione di 10 bar in tutta Italia (approfitto per ricordargli che le analisi e i sondaggi sulla qualità di un prodotto si fanno da un campione multiplo di prodotti e non da uno singolo). Se l’avesse fatto saprebbe che forse 2 su 10 ne sarebbero restati entusiasti. E questo non perchè il barista non apprezzi la qualità di un ottima miscela di caffè 100% Arabica, ma semplicemente perchè quegli imprenditori (perchè il proprietario di un bar è un imprenditore, che deve stare attento anche al rapporto qualità-prezzo, e non può sempre permettersi di fare l’assaggiatore, anche perchè il gusto da accontentare è quello del cliente) ne capiscono eccome di caffè, proprio perchè sanno scontrarsi col mercato.
Detto ciò, esistono, come dicevo altrove, piantagioni (e non qualità, griderei ignorante al giornalista), di caffè con specifiche caratteristiche organolettiche. Esiste un grado di tostatura che brucia il caffè e lo rende amaro, e il cliente non accetta il caffè aspro, quindi probabilmente il torrefattore napoletano che usa la peggior robusta è comunque bravo nella sua tostatura.
In fine, mi piacerebbe anche porre una domanda: come mai i bar, le caffetterie di Napoli (e qualche altra provincia del sud) consumano una media di 18-25 kg settimanali (con picchi di 50-60kg), mentre un bar di una provincia qualunque da Roma in su (eccetto poche eccezioni), consuma di media 5-12 kg settimanali?
Probabilmente perchè la cultura di un prodotto la fa proprio la sua tradizione. È come se al nord si chiedessero come mai in padania si apprezza e si consumano quintali di Polenta, mentre al sud una famiglia media la cucina una volta in tutta la stagione invernale, e anche in modo pietoso.
Allora, cortesemente se si vuole continuare il discorso, magari facciamolo con un confronto. Con un dialogo, e non con un monologo. Punti di vista parziali e a senso unico, nonchè marcatamente propoendenti a screditare una cultura e una tradizione secolare, a beneficio di quella inesistente Elite di produttori di cui si vuol far parte. Inesistente perchè questa piccola cerchia finirà con suonarsela e cantarsela da sola e con gli studenti/esperti che loro stessi formano.
A Napoli la cultura del caffè esiste, è predominante, è il sapore della vita, ed è ciò che muove contro le multinazionali che vogliono ergersi a simbolo della tradizione dell’espresso. Inoltre, per inciso, non mi è mai capitato (forse per mia ignoranza) di leggere torrefattori del nord sbilanciarsi contro i 5 gr. delle dosette di N’Espresso. Ah, tral’altro, proprio per tornare al discorso del mercato, anche io andrò in produzione con le compatibili, sapete il mercato lo richiede, e la sopravvivenza e la crescita di una pmi risponde al mercato. Si identifica sempre, ma risponde al mercato.
In conclusione è rinnovato l’invito al sig. Godina, e chissà, io dico sempre che dalle discussioni nascono le migliori collaborazioni.
[Credits foto: theshot.coffeeratings.com]